Youth. La lunga senescenza di Michael Caine

SARA PESCE 13 GIUGNO 2021

Pubblicato in: Ciao maschio. Politiche di rappresentazione del corpo maschile nel Novecento, a cura di Giacomo Albert, Giulia Carluccio, Giulia Muggeo, Antonio Pizzo, pp. 337-348. Lexix, Torino 2020.

Quasi un decennio fa, quando Michael Caine rieditò la propria immagine in un’autobiografia intitolata The Elephant to Hollywood, fece il suo ingresso nella terza fase della propria vicenda di Star. Già vent’anni prima aveva scritto le sue memorie (What’s it All About), in un momento in cui credeva conclusa la propria parabola divistica e dopo aver tradotto in lezioni e consigli una corposa esperienza recitativa (è del 1990 il libro Acting in Film e del 1986 la serie Acting Masterclasses per la BBC). Vari film dei tardi anni Ottanta erano stati degli insuccessi. All’età di cinquantasette anni si era stupito di ricevere la proposta di un ruolo di padre e non di amante. Si era conclusa la prima stagione del suo divismo, che lo voleva icona di vigore e individualismo, emblema di “mascolinità cool”, alla moda, capace di affermare, negli anni del maggior successo, che gli attori, insieme ai fotografi e alle modelle di moda, rappresentavano una nuova aristocrazia.

Se è vero che esiste un’età in cui la rappresentazione cinematografica della mascolinità subisce una flessione, per Caine gli effetti dell’invecchiamento si manifestano per la prima volta in un periodo storico, gli anni Novanta, in cui Hollywood mette dolorosamente in primo piano la relazione tra mascolinità, angoscia e atto performativo.

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