Paradiso delle Signore
Tutti i colori del Paradiso.
Sul set di un daily drama
A cura di Emiliano Rossi.
Un tuffo nel mondo de Il Paradiso delle Signore, serie trasmessa nel pomeriggio feriale di Raiuno: il progetto F-ACTOR si arricchisce di una tre giorni di ricerca sul campo, negli stabilimenti Videa situati a pochi chilometri da Roma. La sessione di visita, osservazione e interviste - che ha coinvolto l’unità di Bologna (Luca Barra e Luca Antoniazzi, con Elisa Farinacci, Matteo Marinello ed Emiliano Rossi) - è stata condotta dal 4 al 6 luglio 2022. Un’opportunità particolarmente preziosa per entrare nel vivo della “macchina” di un titolo di successo, cogliendone le specificità produttive, le prassi di ingaggio e di lavoro del cast artistico, fino all’apporto a tempo pieno di decine tra maestranze, tecnici e addetti ai lavori, che danno vita a un sistema complesso e ormai rodato.
Formato, genere e dati di contesto
Il Paradiso delle Signore colpisce anzitutto per la sua longevità: agli inizi di giugno 2022 hanno preso il via le riprese della settima stagione, forte delle brillanti medie d’ascolto dell’anno precedente (oltre due milioni di spettatori a puntata). Da sottolineare il cambio di formato di cui il prodotto è stato oggetto: dopo un biennio di messa in onda in prima serata, con appuntamenti settimanali nella classica pezzatura da 110 minuti, dal 2015 la serie è proposta a cadenza quotidiana, con puntate della durata di 40 minuti (è il taglio tipico del “daily drama”, formula che i produttori preferiscono a definizioni come “soap opera” o “telenovela”). Un cambio di programmazione che, come confermato dal cast, ha avuto importanti conseguenze sia sulle abitudini recitative che sulle dinamiche di reclutamento di attrici e attori, pur all’interno del medesimo distretto produttivo.
Ispirata all’omonimo romanzo di émile Zola, Il Paradiso delle Signore narra storie, rovesci di fortuna, amori e faide familiari che gravitano intorno al primo grande magazzino per signore nella Milano a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, in un intreccio di estetiche e linguaggi propri del melò e del period (il racconto d’epoca, in costume). La distribuzione delle puntate ricalca il calendario nel quale si sviluppa la trama, con una coincidenza tra tempo rappresentato e tempo della rappresentazione - pur con uno scarto di oltre cinquant’anni - che consolida l’affezione degli spettatori. Con l’ottimismo che caratterizza tanti ritratti dell’Italia del boom, la serie fa luce sulle illusioni e le speranze di più generazioni, riservando grande spazio al tema dell’emancipazione femminile, affrontato sulla base di una sceneggiatura rassicurante e aspirazionale.
Alcuni dati raccolti dalla viva voce degli intervistati aiutano a restituire le dimensioni di una catena di montaggio che non conosce sosta. Grazie all’attività simultanea di due troupe (con la possibilità di opzionarne una terza), ogni giorno il “sistema Paradiso” è in grado di finalizzare l’equivalente di una puntata (18-20 scene), contro una media quotidiana di 12 minuti per una soap opera generalista e di 4 minuti per una comune fiction di prime time. 160 sono le puntate messe a punto per ciascuna stagione, suddivise in 32 blocchi produttivi che, dietro le quinte, impegnano per undici mesi all’anno oltre 170 impiegati (i “reparti”) tra registi, sceneggiatori, dialoghisti, montatori, assemblatori, stylist, arredatori e operai variamente specializzati. Ancora: una settantina sono i membri fissi del cast, a cui si aggiunge una media di 150 ruoli secondari, occupati in 15-20 scene alla settimana. Il set de Il Paradiso delle Signore occupa una superficie di 5800 m2 tra interni (rigorosamente a quattro pareti) ed esterni, ambienti fissi (18) e temporanei, allestimenti costruiti da zero o riadattati. Infine, una nota contabile: stando alle dichiarazioni dei produttori, Il Paradiso delle Signore può contare su un budget a puntata che si aggira attorno ai 75.000€, con entrate ridotte al progredire delle stagioni.
Attori e attrici in una fiction quotidiana: spunti preliminari e motivi ricorrenti
Un’organizzazione, dunque, orientata a generare grandi quantità di contenuto con un occhio costante ai costi, a partire dal concept, passando per la lavorazione, fino alla consegna definitiva degli episodi. Qual è l’impatto di un ciclo industriale così articolato sulla quotidianità di attori e attric? Quali sono i meccanismi che intervengono per ottimizzare la propria resa in un contesto in cui la tempestività gioca un ruolo primario e l’intervallo tra ideazione, ciak e messa in onda è drasticamente compresso? Il mito dell’atmosfera conviviale sul set, in una produzione corale apparentemente priva di gerarchie tra attori protagonisti, trova un’effettiva rispondenza nelle prassi operative dei suoi principali esponenti? Sono questi alcuni dei quesiti rivolti a una rappresentanza del cast nel corso di una batteria di interviste programmate in loco (13 respondent), utili anzitutto a inquadrare la figura dell’attore in relazione alle tante altre tessere che compongono un mosaico variopinto come quello di un daily drama. In questo senso, come confermato dagli stessi intervistati, in un contesto di lunga serialità che prevede una stratificata suddivisione di funzioni e qualifiche l’attore deve necessariamente muoversi nel mezzo di un ecosistema tanto intricato quanto delicato, con livelli di (inter)dipendenza dagli altri anelli della catena produttiva superiori a quanto è solito accadere nel settore. Se, da una parte, è vero che prodotti del genere rimangono dei validi trampolini di lancio per profili emergenti o poco noti (l’idea del “vivaio di talenti” spesso associata alla soap opera), nell’accesso e nella costruzione di un personaggio - dentro e fuori il set - sembra assumere una rilevanza specifica anche il percorso formativo degli aspiranti attori, con qualche eccezione. Buona parte degli intervistati smentisce poi il luogo comune che vede i cosiddetti “soapoperai” - quanti partecipano a un unico progetto professionale, in ruoli che si protraggono per lungo tempo - vittime inevitabili di disagio e frustrazione, pur riconoscendo problematicità inerenti allo scarso tempo per le preparazioni di memoria (l’immagine del “muscolo che va allenato” ritorna in più conversazioni) e al rapporto così duraturo con un singolo personaggio, talvolta percepito come limitante. A fronte di un’esperienza di lavoro totalizzante, che esige disciplina, in tanti evidenziano inoltre il maggiore grado di autonomia, anche artistica (“agency”), di cui è possibile godere in una produzione così strutturata, nonostante l’improvvisazione non sia formalmente incoraggiata. Oltre a ciò, le interviste hanno consentito di approfondire il nodo dei contratti (quasi sempre annuali e basati su un minimo garantito di pose) e della stabilità occupazionale (eloquenti in questo senso le dichiarazioni di un attore di lungo corso come Massimo Poggio: “per noi, il vero lavoro è quello di trovare lavoro, […] la condizione normale è di essere disoccupati, e quello che facciamo qui è un’eccezione”). Attenzione poi alla gestione della notorietà e dell’immagine pubblica, alla presenza sui social media (inaspettatamente sottoutilizzati, almeno dai più giovani), e ai rapporti con agenzie, manager e addetti stampa. Tra aneddoti e curiosità, gli scambi con gli attori hanno infine permesso di fare luce su alcuni dei lati oscuri della professione (la solitudine, il senso di inadeguatezza, le insicurezze, le difficoltà di mantenimento del proprio status, la sua conciliazione con il privato…).
Il ruolo delle responsabili dei casting
Anche in vista di potenziali sviluppi nell’ambito del corrente progetto di ricerca, si è poi provveduto a confrontare quanto emerso dagli attori con il punto di vista delle responsabili dei casting, mansione che sembra dimostrare quanto l’artigianalità rimanga fondamentale pure in un assetto da factory come quello de Il Paradiso delle Signore. La disponibilità delle intervistate ha aperto a molteplici considerazioni, dalle regole di ingaggio (distinte per gli attori fissi, i “guest” e le figurazioni, a cui corrispondono diversi accreditamenti economici), al campo d’azione nei contatti con gli agenti (e nelle successive negoziazioni), fino al grado di libertà decisionale e all’influenza nelle scelte che spettano ai produttori. Diverse sono le sfide a cui sono chiamate le delegate per la selezione del cast, a partire dal continuo ricambio di attori imposto dalla lunga serialità, che si scontra di frequente con il pregiudizio ancora radicato verso il prodotto. L’ambientazione negli anni Sessanta rende poi necessario vagliare volti d’epoca, sufficientemente evocativi, che possano accordarsi alle tinte pastello del racconto, il cui inserimento viene talvolta condiviso con gli addetti al reparto costumi e le incaricate al trucco e al parrucco. Con l’eccezione dei personaggi immaginati sullo stampo attori prestabiliti (è il caso di Alessandro Tersigni, presente sin dalla prima stagione), il bacino di talenti a cui guardano le casting director è piuttosto ampio, e frequenti sono anche i tentativi di “straight casting”, direttamente a teatro. Tra gli argomenti trattati in fase d’intervista anche lo scouting di figure speciali (come bambini e minori), le complicazioni poste dalla pandemia, tra “self-tape” (auto-invii) e “call back” (appuntamenti in presenza), fino alle tante implicazioni - specie in un’ottica di genere - di una professione che sovente rimane sullo sfondo del discorso pubblico e accademico.
Dagli sforzi produttivi al patto con il pubblico: la centralità delle figure attoriali
Infine, parola ai produttori Daniele Carnacina e Giannandrea Pecorelli - già attivi nel panorama delle soap opera nazionali e in titoli di primo piano come Don Matteo, Linda e il brigadiere, Un medico in famiglia -, che in due lunghe conversazioni con il gruppo di ricerca hanno ribadito la preminenza del proprio ruolo, assieme creativo ed esecutivo, in una cruciale opera di sintesi e mediazione tra mercato, contenuto e consumatori. Non solo i due interlocutori hanno svelato numerosi dettagli relativi alla filiera produttiva e alle gerarchie che finiscono per regolarla, ma hanno altresì chiarito come anche nel caso de Il Paradiso delle Signore il lavoro lontano dai riflettori miri essenzialmente a un equilibrio tra istanze multiformi e a tratti divergenti. Con particolare riferimento alla gestione degli attori, ad esempio, si è avuto modo di comprendere i termini della collaborazione con il committente per la convalida dei profili di maggiore visibilità, le strategie di controllo sul turn-over del cast, così come sulle rivendicazioni economiche dei personaggi di più lungo corso, per le quali occorre trovare un compromesso tra le tante parti coinvolte. Al centro delle interviste anche il modus operandi all’interno degli spazi produttivi, derivato da analoghe esperienze spagnole e profondamente rivisto con il passaggio alla nuova impaginazione e al cambio di palinsesto, dovuti in primo luogo a ragioni editoriali. Da qui, la necessità di una scrupolosa pianificazione, che assicuri il rispetto di tempistiche serrate e rigidamente standardizzate, in un work in progress che investe ogni ambito del gruppo operativo, capace di rispondere a imprevisti di varia sorta.
Ricordi e testimonianze lasciano poi voce ad alcune riflessioni sul “patto col pubblico” di cui i produttori si fanno messaggeri: coerenza valoriale e credibilità storica (ottenuta attraverso un controllo quasi ossessivo su dialoghi, scenografie e costumi) hanno infatti permesso al Paradiso di entrare nell’immaginario dei suoi spettatori, “in una lieta consuetudine, […] come una goccia cinese”, svela Carnacina. Ed è innegabile, hanno puntualizzato gli intervistati, che alla base di questo legame non possano che esserci proprio gli attori e le attrici che “ci mettono la faccia”, in una televisione cordiale che attorno alla fandom catalizza il proprio perimetro d’azione. Ingredienti che stanno alla base di un larghissimo seguito anche sulle piattaforme e che sostengono gli ottimi risultati di vendita all’estero. Un’esemplare impostazione industriale, dunque, per un titolo che continua a godere di piena salute, fino al prossimo finale di stagione: per quello definitivo c’è ancora (molto) tempo.
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