La paranza
Report: il caso Francesco Di Napoli
Il giovane attore Francesco Di Napoli non sognava di fare l’attore perché non avrebbe potuto. Sognava il calcio, invece. Il suo primo contatto con il teatro avviene alle scuole medie, attraverso un progetto PON. Il Programma Operativo Nazionale (PON) del Miur, intitolato “Per la Scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento” è un piano di interventi che punta a creare un sistema d'istruzione e di formazione di elevata qualità. È finanziato dai Fondi Strutturali Europei e ha una durata settennale. Di Napoli è scoperto da una casting director, mentre sta lavorando in una pasticceria di Napoli, durante lo street-casting de La paranza dei bambini. Durante l’intervista con me afferma di provare una grande timidezza, ma non nei confronti della macchina da presa, quanto nei confronti delle persone presenti sul set. Da qui l’esigenza di un acting coach che lo aiuti a disinibirsi. L’attore ci tiene a sottolineare la differenza della sua prima interpretazione con quella immediatamente successiva nella serie televisiva Romulus, per la quale supera tre provini. Nel caso de La paranza, prima di ottenere una risposta, deve aspettare otto mesi, tanto che la produzione finisce per pagargli i giorni di prova sul set.
Il ruolo in Romulus è percepito da Di Napoli come primo effettivo ruolo da attore, mentre ne La paranza “andava d’istinto”. Le scene sono vissute, non recitate. In Romulus Di Napoli ha l’occasione di lavorare sulla lingua e il fisico. Il lavoro dell’attore è qui ridotto ai segni fisici, alla disponibilità a cambiare aspetto e la capacità di parlare il latino antico. Secondo Di Napoli, La paranza non potrebbe rifarlo più bene come prima, sciolto, d’istinto. In seguito all’uscita de La paranza, l’attore vince svariati premi locali per attori emergenti. Secondo l’attore il “volto” è l’aspetto determinante per la sua scelta come protagonista. Anche se al provino c’erano altri attori bravi, secondo lui ha vinto il volto giusto per la parte. Col corpo, dice, è avvantaggiato perché tiene lo schermo, meno con la recitazione, per cui ha paura di non ricordare le battute. Dice che gli viene bene “una cosa che i registi odiano: i piani sequenza. Io li ‘tengo’ molto bene, la macchina mi sta proprio azzeccata, incollata. In Romulus ne ho fatti tantissimi, di corsa in mezzo ai boschi, seguivo benissimo la cinepresa. Il set è uno dei pochi posti in cui mi sento bene. Posso stare davanti a cento telecamere ma non a cento persone».
Prima di inaugurare la sua carriera come attore, Di Napoli dichiara che su Instagram faceva storie a volontà, per poi passare a “zero”. Da due anni dice di sentirsi più chiuso, con un desiderio di mostrare di meno. Pensa che se deve diventare virale dev’essere attraverso il cinema e la televisione, non perché “ho detto una cosa e l’altro l’ha condivisa. Ci tengo molto che le persone che mi seguono lo fanno perché mi hanno visto, per i progetti artistici.” Aspira a essere un attore completo, a ballare e cantare. I suoi attori preferiti hanno settant’anni e sono per lo più americani. In Italia ammira Elio Germano. Di Napoli non desidera diventare una star, ma spera di essere amato e conosciuto per i suoi film, che spera di recitare anche in inglese. Vorrebbe fare i suoi film “senza le conseguenze del successo”. Fosse per lui, rimarrebbe “così, perché so che non lo reggerei.”
I discorsi sociali su Di Napoli tematizzano il suo passaggio all’età adulta, da “talento naturale” a “professionista”, dove la legittimazione come attore è legata alla sua esperienza nella serie televisiva Romulus. La foto più ricorrente di publicity lo ritrae a torso nudo (come nella scena di apertura de La Paranza), macchiato di sangue, nella pioggia. Rolling Stone sottolinea l’importanza del suo volto “giusto per il cinema” e il suo talento naturale grezzo. Da lì i punti di svolta segnalati sono il Festival di Berlino e la partecipazione a editoriali e campagne di moda.
Nei discorsi dei media la dimensione internazionale della fama funziona come marcatore di stardom potenziale. La storia della serie televisiva Romulus sostanzialmente replica il percorso di formazione personale di Di Napoli perché il suo personaggio, Wiros, è uno schiavo orfano in un mondo arcaico e selvaggio che, a un certo punto della vicenda, dirà: “Io non sono niente, e allora posso essere tutto”. Frase che risuona con la sua situazione professionale. Nel primo episodio inizia un viaggio, i Lupercalia: nella sua comunità i ragazzi devono stare sei mesi nel bosco e, se riescono a sopravvivere, possono essere definiti uomini. Wiros subisce umiliazioni, torture, abusi. Finché non conosce Yemos (il principe di Alba, interpretato da Andrea Arcangeli), e questo segna il passaggio dalla solitudine alla fratellanza. Con il suo aiuto riuscirà a trovare il coraggio che non sa di avere. La mascolinità si mostra attraverso la sopravvivenza alla violenza più selvaggia insieme a ragazzi che però sono soli. Finché non arriva la fratellanza.
Dal punto di vista fisico Wiros non doveva essere muscoloso, anzi, l’idea era che fosse piuttosto esile, come Di Napoli, che si è sottoposto a un percorso di dimagrimento. Ha lavorato molto sul corpo perché voleva far vedere l’evoluzione del personaggio: all’inizio è un po’ gobbo, piccolo, minuto, con gli occhi veloci che stanno attenti a tutto, sottomesso e spaventato. Poi, man mano che acquisisce più sicurezza, col passare degli episodi, la sua postura cambia, diventa eretta. Secondo Di Napoli, era importante raccontarlo dal punto di vista fisico. Con la pratica del latino antico l’ha aiutato un coach, che si presentava a casa sua senza neanche avvertirlo: “me lo trovavo fuori dalla porta. Finivo la preparazione in palestra e lui stava lì, finivo la giornata di riprese e stava lì. Sono stati sette mesi tostissimi, ma ne è valsa la pena. Dopo i primi due andavo liscio.”
La finzione si mescola alla realtà quando racconta che sul set ha dovuto superare prove pericolose per la sua vita, dimostrando così il suo coraggio e la legittimità della sua presenza sul set. Spiega che “per fare in modo che la scena fosse più realistica sono stato tipo un secondo, un secondo e mezzo in più fermo, come se il ramo stesse quasi per colpirmi, e poi mi sono lanciato. È stato rischioso e infatti mi hanno cazziato parecchio. Però alla fine è venuta bene e l’hanno montata così.” Una somiglianza sottolineata dallo stesso Di Napoli che dichiara a Rolling Stone che Wiros gli “somiglia molto nel percorso che fa lungo la serie: all’inizio è insicuro, esattamente come me i primi giorni, avevo un po’ d’ansia. E piano piano, andando avanti, siamo riusciti entrambi a superare tutto. Mi dicevano: ‘sei bravo, sei molto naturale, hai la faccia da schermo’. Romulus è stata davvero una scuola, un’esperienza di crescita incredibile. Mi ha permesso di dire: ‘ragazzi, io non so fare solo il napoletano’.
Riguardo alla sua carriera, crede che come attore bisogna arrivare a permettersi di poter dire dei no, altrimenti si è costretti ad accettare qualsiasi cosa, “e non è una cosa che voglio fare”, confessa. Da Claudio Giovannesi ha imparato che sul set deve essere naturale, “devi essere naturale”, gli ripeteva. “E ce l’ho sempre in testa – rivela l’attore - "questo concetto della naturalezza, della spontaneità.
Di Napoli era stato scelto insieme ad altri otto ragazzi tra gli oltre quattromila incontrati tra i vicoli e le piazze dei rioni di Napoli, pescati dalla loro quotidianità per raccontare la storia di un gruppo di guaglioni che sono diventati sovrani di una grande città. Giocano con le armi, ambiscono a fare soldi, comprare vestiti firmati. E corrono sui loro scooter alla conquista del Rione Sanità. Vogliono tutto e subito, non importa se quel tutto e subito può portare alla morte.
Tutti i discorsi su Di Napoli si soffermano sul topos dello stardom from-rags-to-riches, oltre alla casualità della scoperta. Se con La paranza gli sembra di aver vissuto solo una bella avventura, in cui gli era stato chiesto di interpretare quello che era, un ragazzino napoletano che parla in dialetto, certo non un mini-boss, ma pur sempre qualcuno che conosceva, la sua vita restava ancora un punto di domanda. Con Romulus capisce che vuol dire recitare.
Del red carpet di Berlino dice che si è sentito una star e di non aver mai provato un’emozione simile, quella di sentirsi una persona importante, anche solo per un istante. In camera dice di avere il poster di Taxi Driver, che ha visto da bambino. Anche se non ne capiva il senso, gli arrivava l’impatto dei personaggi, la drammaturgia. Adesso gli piacerebbe interpretare qualcosa di biografico, un personaggio esistito o vivente, vorrebbe confrontarsi soprattutto con il “reale”, fare ricerca attraverso storie diverse, “piene di verità, come quella di un operaio ad esempio. Vorrei lavorare con Paolo Sorrentino, con cui condividiamo le stesse radici.”
Afferma di non voler frequentare scuole di cinema, perché gli toglierebbero la spontaneità, però vuole studiare dizione e la lingua inglese perché sogna di fare film e serie americane. Rispetto al personaggio de La paranza, dice di essersi ritrovato subito nella sua passione per la famiglia e gli amici, l’affetto che prova per il fratellino e per la madre è simile al legame che ha con la sua famiglia, per la quale farebbe di tutto. Lo stesso vale per gli amici: “come Nicola, anche io mi sacrificherei per le persone a cui voglio bene e che mi sono accanto nella vita di tutti i giorni. A parte questo, siamo molto diversi: rispetto a lui, sono sempre stato un ragazzo dedito al lavoro e non ho mai avuto mire di potere. Certo, la realtà raccontata nella Paranza l’ho vista, come del resto chiunque viva a Napoli, ma non mi appartiene.”
In seguito al successo de La Paranza, sia Gucci che Louis Vuitton lo eleggono a testimonial delle rispettive campagne pubblicitarie, per cui posa in abiti di alta moda opulenti, tradizionalmente associati alla categoria del “femminile”, d’accordo con la mascolinità fragile e sensibilità sottoproletaria esibita ne La paranza. Il comunicato stampa di Louis Vuitton dice di voler catturare l'energia collettiva dei giovani di oggi, l’inconscio della propria età. Tra realtà quiotidiana e mondanità, "i fotografi catturano i momenti passeggeri, e creano ricordi futuri di un gruppo di amici all’apice della mascolinità." Il brand Marcelo Burlon ha realizzato una delle t-shirt più importanti indossate dal personaggio di Nicola nel film, poi diventata anche maglia del Napoli. Proprio quella maglia con le ali blu, ali sciamaniche che ricordano una fenice, diventa uno dei simboli, delle ossessioni di Nicola e della paranza.
Nel film, infatti, il protagonista interpretato da Francesco Di Napoli, dopo essere riuscito a imporsi nel territorio con una serie di azioni criminali, si concede una giornata di shopping nella costosa boutique che mette in vendita proprio le t-shirt di Marcelo Burlon. Nella sequenza conclusiva del film, quella in cui Nicola e la sua paranza si recano dal Rione Sanità in batteria alla ricerca di vendetta, l'attore indossa proprio la t-shirt alata di Marcelo Burlon.
Wiros