Ma faccio anche teatro!

"Ma faccio anche teatro!" Attorialità italiana e televisione (March 27-28, 2023)

29 MARZO 2023
Tavola rotonda finale

Tavola rotonda finale

A cura di Silvia Vacirca.

Organizzato da Luca Barra, Luca Antoniazzi, Sara Pesce, Emiliano Rossi, Elisa Farinacci e Matteo Marinello in collaborazione con DAMSLab, Associazione Media Mutations e L.A.R.A., e con il patrocinio della Consulta Universitaria del Cinema (CUC), il workshop Ma faccio anche teatro! Attorialità italiana e televisione – organizzato dall’unità bolognese del progetto di ricerca F-ACTOR. Forme dell’attorialità mediale contemporanea (PRIN 2017) – ha approfondito le specificità del lavoro attoriale per il piccolo schermo, facendo luce sulle sue dinamiche produttive e promozionali, con particolare attenzione alle nuove generazioni della talent industry nazionale.

Il titolo del workshop Ma faccio anche teatro!, oltre l’intenzione umoristica, già ingloba e veicola uno dei risultati della ricerca condotta dalle diverse unità e cioè dà conto di alcune difficoltà che, come ha spiegato Luca Barra in apertura: “In tutta franchezza non pensavamo più di trovare e invece un po’ stiamo trovando nel valorizzare l’attorialità televisiva nell’auto-racconto di tanti attori, di tante attrici”. In particolare, questa espressione – che, forse non a caso, ha poi ricevuto una entusiastica accoglienza da parte degli addetti ai lavori nella tavola rotonda finale – era emersa nella chiacchierata telefonica con un’attrice famosa per un importante ruolo televisivo, non intenzionata a mettere troppo in luce quella stessa televisione che pure l'aveva resa una case history interessante.

Il workshop ha raccolto, messo in dialogo e rilanciato le principali linee di ricerca dell’unità bolognese, focalizzata sulla televisione in relazione allo scenario contemporaneo dei media e dell’attorialità italiana: il ruolo della tv all’interno dei percorsi di carriera degli attori italiani, come spazio di esordio, approdo, evento “che capita”, come percorso parallelo ad altre attività più validanti ma meno remunerative; lo studio dell’attorialità nel senso più ampio possibile, che comprende la serialità, la fiction, le piattaforme, gli attori “ibridi”, i figuranti, la pubblicità; il lavoro degli intermediari e quindi dei casting director, delle agenzie, degli uffici stampa, dei publicist e dei social media manager.

Giornata 1

Il workshop si è aperto con il keynote speech di Cristopher Hogg, autore di Acting in British Television, seguito da tre panel che hanno presentato gli esiti della ricerca e dialogato con progetti e percorsi affini. Hogg ha sottolineato la “trappola analitica” del soffermarsi sul testo finale della performance televisiva, che oscura il contributo individuale dell’attore e la sua “agency” all’interno del processo produttivo. Un rischio reso ancora più attuale e scottante a causa della “soapification” di tutta la drammaturgia televisiva (Ellis 2007, 104). Nonostante la percezione dell’attore televisivo come una rotella dell’ingranaggio, in Gran Bretagna almeno, nel caso della lunga e lunghissima serialità l’attore tende a diventare un custode, un co-autore del suo personaggio. Un pattern emerso dalle interviste di Hogg ad attori inglesi è relativo al linguaggio usato per descrivere la natura peculiare del loro lavoro. Piuttosto che fare riferimento a nozioni come “scale” o “size”, frequenti nell’ambito del teatro e del cinema, la recitazione televisiva è descritta nei termini di “focus”, “intensity” e “energy”, volta a catturare un senso di presenza davanti alla telecamera, quanto mai effimero.

Alla fine delle due giornate di studio, due tavole rotonde hanno concluso i lavori. La prima, di natura più accademica, si è concentrata sui television studies, mentre la seconda – di carattere più professionale – ha avuto come protagonisti alcuni importanti professionisti del campo televisivo che hanno raccontato e condiviso con un pubblico numeroso di studenti e studiosi il loro lavoro di intermediari dell’attorialità audiovisiva.  

Luca Antoniazzi ha inaugurato il primo panel – dedicato all’attorialità industriale – con la relazione “Lavoro ad alta intensità. Attorialità industriale e il caso de Il Paradiso delle signore” che a partire dal concetto di embodied creativity (McDonald 2020, 267) ha analizzato le pratiche del lavoro attoriale in un contesto ad alta intensità lavorativa come quello del daily drama e ha mostrato come le scelte di carriera degli attori e delle attrici siano incentrate sulla tensione tra autonomia creativa e sicurezza lavorativa. Elisa Farinacci ha poi esplorato le reti di collaborazioni, il contributo individuale e l’autonomia creativa di alcune figure professionali che lavorano all’interno della produzione televisiva de Il Paradiso delle signore con il suo passaggio al formato quotidiano: basandosi su un'etnografia presso gli studi televisivi Videa, arricchita da interviste in profondità con casting director, costumisti, parrucchieri e artisti del make-up, l’intervento ha aperto una discussione sul ruolo che questi specialisti hanno nel dare forma al prodotto finale e nel sostenere e rinforzare un sistema produttivo che richiede un’ampia gamma di collaboratori, tempi serrati e rapporti lavorativi di lungo periodo. Ne “Il paradiso dei meme. Fandom, relazioni parasociali ed engagement attoriale ne Il Paradiso delle signore”, Stefania Antonioni ha presentato alcuni dati emergenti dall’analisi delle attività e dei commenti di alcuni gruppi di fan della soap su Facebook e, in particolare, su Instagram, evidenziando da un lato la crescente popolarità della serie e dall’altro gli elementi più ingaggianti per il pubblico più affezionato e attivo. Ha inoltre condotto una riflessione sul ruolo svolto dagli attori nella costruzione delle relazioni parasociali con il pubblico e sulla loro attività di promozione della serie e di sé stessi. Infine, l’intervento di Giulia Muggeo e Paola Zeni, che ha concluso il panel, si è focalizzato su Centovetrine e sul percorso artistico e professionale di Sergio Troiano, ex attore di soap e ora esercente torinese, proprietario di alcune sale cinematografiche del centro città. A partire da un’intervista all’attore le ricercatrici hanno riflettuto sulle peculiarità e le zone grigie della soap-opera ma anche sul particolare percorso artistico che ha portato Troiano, in tempi più recenti, a misurarsi con la professione di esercente; anche alla luce dell’illuminante definizione di sé come attore “soap-operaio”.

Dopo una focalizzazione sul genere televisivo della soap-opera, i protagonisti della tavola rotonda a conclusione della prima giornata del workshop - moderata da Luca Barra -, Daniela Cardini (Università Iulm, Milano), Veronica Innocenti (Università di Bologna), Andrea Minuz (Sapienza Università di Roma), Marta Perrotta (Università Roma Tre), Valentina Re (Università Link, Roma), Massimo Scaglioni (Università Cattolica, Milano) e Federico Zecca (Università di Bari), hanno ragionato in maniera trasversale sulla relazione tra attorialità italiana contemporanea e studi sulla televisione. Daniela Cardini ha espresso il punto di vista critico secondo cui studiare l’attore di lunga serialità necessiti di un periodo di tempo lungo per raccogliere i dati sul campo, evitando così il rischio di isolare l’attore, estrapolandolo dalle sue relazioni con gli altri attori professionali. Secondo Cardini, insomma, limitarsi all’intervista come strumento di ricerca ha il limite di nascondere la dimensione polifonica della creatività specifica della lunga serialità. Veronica Innocenti ha poi sottolineato il ruolo della televisione come strumento di self branding, di spazio di costruzione della propria immagine, facendo riferimento a Uomini e donne come a un “casting permanente” per figure che poi si trovano assorbite dalla produzione televisiva seriale, come Francesco Arca, Andrea Dianetti e Desirèe Popper. L’intervento successivo di Andrea Minuz ha allargato lo sguardo al sistema dello spettacolo italiano, ragionando sul rapporto tra l’attore di cinema cosiddetto “di serie A” e la televisione. Secondo Minuz, nell’antidivismo di massa, una componente essenziale è la diffidenza verso la televisione intesa come entertainment. Mentre la TV come fiction rafforza il brand attoriale di prestigio, nell’entertainment televisivo si toccherebbe con mano l’assenza di uno “stardom”, se come riferimento standard – occorre precisarlo – si assume lo stardom hollywoodiano. Marta Perrotta, riprendendo la riflessione di Andrea Minuz, ha ribadito come la dimensione ludica evidenziata da Hesmondhalgh e Baker, del lavoro creativo come un impasto di gioco e lavoro, sia sostanzialmente rinnegata attraverso queste retoriche. Valentina Re ha introdotto l’importanza del capitale culturale nella pubblica rappresentazione di sé dell’attore e Massimo Scaglioni, da una prospettiva “di sistema”, ha valutato l’impatto dell’arrivo delle piattaforme sul comparto attoriale. Se l’aumento del numero di produzioni ha determinato un allargamento della scena attoriale, con più di 700 attori in ruoli principali, si assiste a una concomitante tendenza alla concentrazione: il 35% degli attori nazionali ricopre quasi due terzi dei ruoli principali. Infine, Federico Zecca ha concluso evidenziando un processo di “celebrification” dell’attore italiano televisivo e di “celebritization”, dove il processo è legato alla trasformazione culturale stessa della categoria di celebrità, con un riferimento al caso di Asia Argento, “dappertutto e da nessuna parte”. In generale la tavola rotonda ha evidenziato le complesse dinamiche convergenti, e pertanto divergenti, all’opera nel sistema mediale italiano contemporaneo, che le piattaforme hanno mutato, con significative ripercussioni sul lavoro e il mercato attoriale che, se da un lato sembrano positive, nei termini di una maggiore offerta, fanno anche emergere una sostanziale fragilità delle carriere dei nuovi attori, la cui difficoltà di accumulazione di capitale simbolico distintivo ha ripercussioni sul capitale economico. Detto altrimenti, le produzioni riescono a mantenere bassi i costi, una volta pagati gli attori principali che, secondo la ricerca condotta da Scaglioni, occupano i due terzi dei ruoli principali.

Giornata 2

La seconda giornata del workshop si è aperta con un panel dedicato all’attorialità esordiente. Matteo Marinello ha presentato i primi semi di trade stories costruiti da alcuni giovani attori esordienti, a partire da interventi sulla stampa e interviste in profondità effettuate all’Università di Bologna. Facendo riferimento ai casi di Mattia Carrano e Coco Rebecca Edogamhe, ha evidenziato come dei professionisti alle prime armi interpretino subito la propria esperienza sul set, nonché costruiscano la carriera e l’immagine pubblica in un momento critico come quello dell’entrata nella maggiore età. Sia Edogamhe sia Carrano hanno iniziato a lavorare in un contesto condizionato dalla pandemia e all’interno di una serialità informata dal dibattito sulla diversity ma, soprattutto, entrambi hanno esordito nel ruolo di protagonisti senza una formazione attoriale, attribuendo pertanto al set una dimensione formativa, come fosse una scuola sui generis a cui ci si è iscritti con ingenuità, dove il mestiere si “impara facendolo”, compensando eventuali carenze con lo sfruttamento di altri talenti e con l’aiuto di figure professionali più esperte. Emiliano Rossi ha evidenziato come il successo della terza stagione di Mare fuori, su RaiPlay e poi sui palinsesti lineari, conferma la forza di un cast artistico in larga parte costituito da attori e attrici esordienti sul piccolo schermo. L’intervento si è concentrato sui percorsi professionali e sulle dinamiche promozionali che, in una finestra temporale piuttosto ridotta, hanno condotto un gruppo di giovani talenti alla ribalta di discorsi collettivi e fenomeni di celebrification di massa. Una delle ipotesi avanzate è che, nella scelta di volti freschi poco noti al pubblico generalista, il servizio pubblico stia aderendo a routine operative (e relativi posizionamenti valoriali) tipiche dei servizi streaming, recuperando posizioni e guidando - da capofila - una nuova concezione del prodotto per adolescenti e giovani. Alma Mileto e Silvia Vacirca si sono concentrate sul divismo transnazionale femminile nell’era dello streaming, e in particolare su Matilda De Angelis con “The Undoing” e Sabrina Impacciatore con “The White Lotus” (seconda stagione).  Anche se è vero che entrambe, in particolare Impacciatore, non sono attrici emergenti, è anche vero che la loro carriera all'estero (negli Stati Uniti) è sbocciata in tutta un’altra veste, in un certo senso facendole “esordire” come dive in America. I due casi sono interessanti anche perché, pur presentando un decorso simile sui media, puntano su aspetti diametralmente opposti: De Angelis è un personaggio quasi muto, esposto unicamente come corpo; Impacciatore decostruisce qualsiasi immagine di diva “pornostar” e si afferma con una performance macchiettistica. Infine, Michael Margotta, membro dell’Actor's Studio, alumnus di Pasadena Playhouse College of Theatre Arts, insegnante del “metodo” e acting coach ha chiuso il panel in dialogo con Sara Pesce, condividendo la sua pluriennale esperienza, sia come docente che come acting coach, con il pubblico in sala, con un focus sul lavoro fatto con Salmo per Blocco 181.

Nel terzo panel, “Generazioni di attori”, Paola Brembilla e Stefano Guerini Rocco hanno evidenziato come l’arrivo di Netflix in Italia abbia introdotto nel panorama nazionale quelle strategie produttive, retoriche e di rappresentazione già adottate dalla piattaforma negli Stati Uniti e rivolte a una maggiore inclusività sociale. La serialità italiana ha così iniziato a mostrare una crescente attenzione nei confronti di temi, ambientazioni, istanze socio-culturali e politiche identitarie capaci di proporre un nuovo spaccato della società contemporanea, al fine di intercettare l’attenzione di un'audience più giovane, inclusiva, progressista e transnazionale – come sintetizzato efficacemente dalla strategia produttiva di Netflix Made in Italy, Watched by the World. Tuttavia, l’esperienza dei principali casting director attivi nel mercato italiano testimonia quanto possa essere difficile aprire le rappresentazioni a una maggiore inclusività etnica a causa di una netta sottorappresentazione di attori non bianchi sia nelle scuole di cinema, sia nelle agenzie. Nell’intervento "Casting crime: attorialità, gender e aging nelle serie televisive crime italiane contemporanee", Elena D’Amelio ha sottolineato come le donne detective siano sempre più spesso protagoniste di produzioni televisive crime internazionali, e come l’Italia non faccia eccezione: Rai Fiction ha prodotto serie come Non uccidereBella da morireImma TataranniLolita Lobosco e Blanca; Sky e Cattleya hanno prodotto Petra e Mediaset ha risposto con Il processo. Sebbene diverse per casting, produzione e diffusione, queste serie offrono una complessa negoziazione di modelli femministi e postfemministi, adattando il topos della Strong Female Lead (Harvey 2019) reso popolare dal Nordic Noir alle specificità geopolitiche e di genere della società italiana. D’Amelio ha indagato le sfide che le donne detective italiane pongono al casting, soprattutto in termini di recitazione, celebrity e rinegoziazione degli stereotipi di genere. Gloria Dagnino, invece, ha esplorato in che misura l’invecchiamento della popolazione giochi un ruolo nelle decisioni strategico-industriali dei player del settore e nelle politiche audiovisive pubbliche. Muovendo dalla cornice teorica della gerontologia culturale applicata alle industrie audiovisive, e combinando strumenti di analisi testuale e di production studies, ha avanzato alcune proposte metodologiche facendo riferimento a casi di studio tratti dalla serialità italiana e internazionale contemporanea. Infine, Gabriele Prosperi ha presentato il caso della produzione testuale e visiva di Ambra Angiolini. Il caso di Angiolini è emblematico in quanto il racconto di sé avviene per mezzo di un corpo iper-esposto a livello testuale (nell’autobiografia) e ricondizionato a livello visivo (su Instagram), con strategie narrative e visuali che comportano anche una forte riflessione sull’età dell’attrice (aging). La diva-Ambra emerge come un esempio di donna – riprendendo la riflessione di Pesce (2021) su Sophia Loren – “capace di istruire gli spettatori su una vecchiaia desiderabile”, impugnando l’invecchiamento come fatto soggettivo che, nel contesto televisivo, si ricollega a una maggiore gradualità (Barra, 2020) nel processo di «riconquista della legittimità attoriale», che fa eco al passato divistico piuttosto che sostituirlo.

La tavola rotonda finale – oltre all’entusiasmo generale per il titolo del workshop e una curiosa riproposizione del tropo “Ma faccio anche teatro!” a livello di tutte le figure di intermediazione – grazie agli interventi di Sonia Bignozzi (responsabile area management, Elastica), Adriana Ciampi (casting director, socia U.I.C.D. - Unione italiana Casting directors), Barbara Giordani (casting director, socia U.I.C.D. - Unione italiana Casting directors), Federica Illuminati (talent agent, atelier illuminati, socia L.A.R.A. - Libera Associazione Rappresentanti di Artisti), Giancarlo Sozi (personal publicist per il settore audiovisivo, già head of publicity di 20th Century Fox Italia e Paramount Pictures), ha evidenziato l’intensità elevata del lavoro di casting per la televisione e l’accurata gestione dell’immagine pubblica attoriale. In particolare, dopo un primo giro in cui ognuno ha spiegato in sintesi in cosa consista la sua professione, sono emersi alcuni spunti utili per la ricerca. Nella presentazione del suo mestiere, la talent agent Federica Illuminati ha evidenziato una tensione latente tra la nozione di “talento” e di “età” del talento, affermando che se nella scelta di un talento dovesse tener conto che un’attrice “matura” lavora meno di una giovane, farebbe un torto non solo alle persone “mature” ma alla “pluralità” potenziale di un casting; e non è chiaro cosa s’intenda esattamente per attrice “matura”. Inoltre, la differenza di tempi produttivi e di budget tra cinema e tv pare avere ripercussioni significative sul bacino di scelta e tipologia del casting, soprattutto per quanto riguarda i ruoli più piccoli che sconfinano nelle “figurazioni speciali”, evidenziando – indirettamente – l’esistenza di una gerarchia degli “attori” cosiddetti d’agenzia che l’industria sembra avere ben presente. Sul versante promozionale, la promozione degli attori è oggi quella che un tempo si sarebbe definita “straordinaria”, dove tutto passa attraverso delle “clip” che possono essere diffuse con la complicità dell’attore. I media digitali hanno creato quasi un secondo lavoro rispetto a quello dell’interprete, mettendo al centro delle strategie promozionali l’“evento”, che gli attori sono chiamati a costruire collaborativamente. Secondo la casting director Barbara Giordani “anni fa c’era una netta distinzione tra attori televisivi e cinematografici, dove i primi erano malvisti perché troppo visti”, evidenziando la strategia di differenziazione relativa al medium cinematografico e l’esistenza di una gerarchia. Riferendosi al teatro, Giordani ha precisato che “il teatro è comunque nobile, c’è poco da fare, noi privilegiamo le scuole di teatro, non è vero che noi prendiamo gli attori dalla strada”. Secondo questa prospettiva, l’attore che non ha studiato, spesso presente in molte produzioni televisive, sarebbe un “improvvisato”. Da rilevare la nota sull’impossibilità di reperimento di foto aggiornate degli attori, da cui l’utilità di Instagram. Dato che Instagram è un social incentrato sul volto, è evidente la sua utilità nel processo di casting, soprattutto nel caso dei tempi accelerati e del basso budget della tv. Nella conversazione si parla spesso di “bisogno di facce”. Secondo Giordani, questo atteggiamento però non esisterebbe più. Affermazione interessante che acquista ancora più senso alla luce della peculiare struttura produttiva dell’industria audiovisiva italiana, dove la televisione gioca un ruolo importante, se non preponderante, nella produzione cinematografica, con film di fatto destinati alla televisione, dalle piattaforme alla tv generalista. Infine, è interessante rilevare, nonostante la condivisa riverenza per il “teatro nobile”, l’assenza dal discorso degli intermediari di qualsiasi considerazione, nella fase di selezione, sul talento interpretativo dell’attore, se si esclude un riferimento alla “personalità”, importante nel caso della soap per l’impegno che essa richiede.  

Link al video del workshop: "Ma faccio anche teatro!" Attorialità italiana e televisione

Salone Marescotti

Salone Marescotti

Apertura dei lavori

Apertura dei lavori

Emiliano Morreale

Emiliano Morreale

Francesco Pitassio

Francesco Pitassio

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