Laura De Strobel
Intervista alla casting director Laura De Strobel
Laura De Strobel, una delle più importanti e attive casting director italiane, incontra il teatro a diciassette anni e mentre lavora come aiuto regista a oltre venti spettacoli, si laurea in Storia del teatro e dello spettacolo alla Sapienza di Roma. Come regista mette in scena Zota! (la notte delle matite spezzate) di Flora Farina (Festival di Todi, 1999), uno spettacolo sui desaparecidos argentini. Nel 2001 comincia a lavorare nel cinema e in televisione come assistente alla regia, aiuto regista e dal 2006 principalmente come casting director. De Strobel è tra le prime professioniste in Italia a essere accreditata come "casting director" nel 2009 con i film per il cinema Feisbum e Alza la testa (A. Angelini). Tra gli ultimi lavori, la serie televisiva Baciato dal sole per Rai Uno, la collana di cinque tv movie Purché finisca bene e i film per il cinema Nottetempo (F. Prisco, 2014)) e Corpo Celeste (A. Rohrwacher, 2011). Conduce seminari e workshop in tutta Italia e nel 2009 ha pubblicato il libro Uno, nessuno e centomila. Voci da una messinscena, nato dall'esperienza diretta dell'autrice come aiuto regista per la prima messinscena a più personaggi del romanzo di Pirandello Uno, nessuno e centomila, condotta nel 1995 con adattamento di Giuseppe Manfridi, regia di Marco Mattolini, e interprete principale Flavio Bucci. Il coro di voci che intervengono nel volume restituisce la 'fabbrica' dello spettacolo, ponendo una lente d'ingrandimento sulle soluzioni della scrittura, le ipotesi di messinscena, i punti di vista dei protagonisti, fino alla prova del palcoscenico.
Per prima cosa le chiederei di raccontarmi il percorso professionale che l’ha portata a essere una delle principali casting director in Italia.
Il mio percorso professionale comincia a diciotto anni, come assistente e subito dopo aiuto regista in teatro. Devo quasi tutto al mio generoso maestro, il regista Marco Mattolini, che mi ha immediatamente dato fiducia permettendomi di lavorare da professionista fin da giovanissima in contesti di teatro possiamo dire di “serie A”. Alternando un esame all’Università di Lettere e uno spettacolo da aiuto regista mi sono “fatta le ossa”, fino a debuttare io stessa a ventiquattro anni con una regia al Festival di Todi, con uno spettacolo sui desaparecidos argentini. Finché Marco non ha fatto un film con il quale mi ha dato l’occasione di fare per la prima volta l’assistente alla regia al cinema. Presa questa strada, mi sono lasciata dietro il teatro, cominciando a lavorare soprattutto per il cinema e la televisione come assistente prima e aiuto regista poi. Ho cominciato a fare i casting da assistente alla regia nei film dove non c’era un casting director. Uno su tutti L’aria salata di Alessandro Angelini, un’esperienza fondante del mio percorso audiovisivo. Il primo cast firmato insieme alla già affermata casting director Laura Muccino è stato il secondo di Angelini: Alza la testa. Poi ho fatto “Corpo celeste” di Alice Rohrwacher e via fino a occuparmi molto anche di tv-movie e serie televisive. Insomma il lavoro di casting ha messo insieme la mia esperienza teatrale circa il lavoro con gli attori e quella cine-televisiva.
I casting director contribuiscono alla selezione di nuovi volti per l’industria del cinema e della TV, incidendo, in modo decisivo, sul paesaggio spettacolare italiano. Come descriverebbe il suo ruolo nell’industria italiana?
Il contributo è quello della selezione e soprattutto dell’individuazione iniziale di potenziali nuovi volti, che parte dalla buona impostazione della ricerca, senza pigrizie, con scelte ben mirate dei bacini ove esplorare e competenza nel riconoscere l’adeguatezza di un attore o talvolta di un non-attore al personaggio che si cerca. La capacità autonoma di selezione è ciò che serve per rendere sostenibile e efficace l’impresa: al regista arriverà solo una parte degli attori trovati. Da lì in poi il regista, il produttore, con uno scambio col casting director, arriveranno alla scelta definitiva che è nelle loro mani.
Si tratta di un ruolo istituzionalizzato? Quando è emersa questa figura in Italia e perché?
La figura professionale del casting director in Italia è recente. A Hollywood nasce negli anni Quaranta, mentre in Italia compare negli anni Sessanta in concomitanza con l’arrivo di produzioni americane che venivano a girare a Roma e che erano ormai abituate a utilizzare questa figura professionale. Il casting italiano era coordinato dal casting americano che aveva bisogno di un professionista locale. Negli anni Ottanta il casting director comincia a farsi largo anche nel cinema nostrano e il vero impulso alla professione viene dato dalla produzione delle serie televisive, che richiedono un elevato numero di interpreti e dunque di un reparto specifico che se ne occupi. La preparazione di una serie sarebbe impossibile se gestita sia per il cast che per tutti gli altri aspetti dal solo reparto regia. La nostra associazione, l’Unione Italiana Casting Directors (U.I.C.D), si sta battendo proprio in questi anni per dare alla nostra categoria i giusti riconoscimenti. Sono solo pochissimi anni, ad esempio, che abbiamo una nostra specifica posizione Enpals. Non siamo inclusi nelle categorie dei David di Donatello ma da poco abbiamo conquistato un posto ai Nastri D’Argento e solo quest’anno abbiamo ottenuto dalla Regione Lazio la configurazione ufficiale della nostra categoria professionale nel repertorio delle competenze e dei profili regionali.
Che ruolo ha la pratica del self-tape oggi? Quali sono gli effetti pratici? I suoi limiti e benefici?
La pandemia ha comportato l’esplosione del lavoro a distanza che nel nostro specifico ha voluto dire riduzione al minimo dei provini in presenza, realizzati solo nella fase finale di selezione col regista e impiego su larga scala del self-tape (video provino che l’attore realizza da solo e invia al casting). È uno strumento ambivalente. Da un lato ha avuto il grande merito di consentire al lavoro di andare avanti nonché di allargare la platea delle sperimentazioni. A parità di tempo, c’è possibilità di visionare più attori che solo in presenza. Inoltre, vantaggio che il self-tape ha sempre avuto già prima della pandemia, consente di colmare distanze geografiche che renderebbero impossibile, in alcuni casi, realizzare un provino. Dall’altro lato, ha il difetto di essere uno strumento limitato poiché l’attore non ha la possibilità di scambio e di “aggiustare il tiro” assieme al casting come avviene nei provini in presenza.
Cosa conta di più nella scelta di un “performer” giovane per un nuovo progetto?
La specificità della giovinezza fa sì che nella ricerca si punti in generale, molto più di quanto non si faccia per gli attori navigati, sulla vicinanza della persona al personaggio, sulla capacità espressiva, sulla “naturalezza” intesa come espressività efficace che non risenta di artificiosità.
Perché sembra che nei film italiani, in genere, ci siano sempre gli stessi attori famosi?
Possiamo dire sinteticamente perché alcuni sono grandi talenti e tutti li vogliono e perché a livello produttivo si ritiene che senza uno o più “nomi” sia molto più difficile attrarre pubblico e avere risonanza, aspetto necessario a qualunque forma di spettacolo. Un tempo avere attori premiati nelle domande al Ministero per il finanziamento di una nuova opera, dava punteggio in più, cosa che naturalmente ha favorito la circolazione degli stessi attori. Ciò non vuol dire che non si facciano prodotti che puntino su nuovi volti e che non abbiano successo. Un po’ di buona volontà aiuta!
Esiste un divario di genere nella pratica del casting in Italia? Se sì, in che senso?
In Italia il ruolo del casting director è ricoperto soprattutto da donne! Un’ipotesi che azzardo è che, aumentando progressivamente l’affermazione di questa recente figura professionale, aumenteranno anche gli uomini interessati a questo mestiere…